venerdì 27 maggio 2016

Come si diventa eroi?

Vincitore di ben sette David di Donatello, Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti, si presenta agli occhi di critica e pubblico, come una vera e propria novità nella cinematografia italiana.
La pellicola stupisce perché sdogana il filone classico dello stereotipato film super-eroistico, fortemente caratterizzato da scene d’azione, effetti speciali, conflitto tra due antagonisti ecc… delineando un modello e un genere del tutto nuovo, contestualizzandolo all’interno del nostro Paese.
Spesso infatti i film dei supereroi (e i personaggi) appaiono piatti, privi di un vero e proprio spessore che ne delinea la loro originalità, così come succede spesso per le situazioni in cui si imbattono, spesso ricorrenti e standardizzate. Gabriele Mainetti si distanzia totalmente da questo modo di fare cinema, ironizzando proprio attraverso l’azione dei suoi personaggi, il cinecomic americano e tutto ciò che gli ruota intorno, senza mancare di fare del citazionismo schietto.
La prova evidente è nelle parole dell’antagonista, Lo Zingaro, che alla scoperta dei superpoteri del suo nemico, esordisce dicendo:

- T’ha mozzicato un ragno? Un pipistrello? Sei caduto da un altro pianeta? -


Il riferimento metatestuale più rilevante è però la presenza del manga giapponese di “Jeeg Robot” riproposto come paladino di Alessia, una giovane ragazza che ha subìto violenze fisiche e psicologiche e che si rifugia nelle sue fantasie aspettando che Jeeg faccia finalmente giustizia in un mondo governato da orrore e oscurità.

Oltre alla dimensione fumettistica, il film contiene numerosi riferimenti alla Roma da “romanzo criminale” che però qua manca totalmente di una vera e propria drammaticità, in quanto il regista ci fa entrare nel mondo della criminalità organizzata mantenendo sempre un occhio umoristico.
Lo stesso Zingaro, che dovrebbe essere il cattivo per eccellenza, non corrisponde ai canoni del leader classico, ma si presenta come un eccentrico personaggio, sociopatico e spietato che non agisce in funzione di un gruppo di criminali, ma ha solo sete di arrivismo, disposto a sacrificare tutto e tutti per essere riconosciuto.
Il suo modo di agire rispecchia i canoni “televisivi” e agisce come se fosse il mondo fosse un palcoscenico nel quale vuole affermarsi come protagonista; la sua malvagità risiede infatti in un narcisismo estremo che lo porta ad essere completamente privo di empatia.

Altra caratteristica atipica del cinecomic standard sono le ambientazioni: in genere, la città in cui si svolge il conflitto eroe/antieroe è fittizia (prendiamo ad esempio Gotham City di Batman) ed essa serve soltanto come “modello” di metropoli usuale in cui mettere in scena il conflitto Bene/Male, di conseguenza anche il paesaggio e gli spazi in cui si svolgono le azioni risultano essere essenzialmente fumettistiche e di difficile immedesimazione dello spettatore; in Lo chiamavano Jeeg Robot invece ci ritroviamo immersi in degli ambienti del tutto reali, in cui possiamo riconoscerci, pur essendoci lo straniamento messo in atto dal film stesso.
Non solo ma vengono messe in luce anche tutte le problematiche ad essa connesse, come la criminalità organizzata, il degrado delle periferie ecc… nulla insomma che faccia risultare la città come mero sfondo dell’azione.
Il Male che deve essere combattuto è interno alla città stessa e non si configura come un’entità altra antropomorfa.

Gli stessi eroe e antagonista inizialmente sono dalla stessa parte e provengono dalla stessa condizione sociale di emarginati, non solo ma entrambi acquisiscono i poteri nello stesso modo.
Inoltre Enzo (Jeeg) non vuole lottare per “salvare il mondo”, anzi, agisce solo per fini egoistici sfruttando le proprie abilità di “super”. Solo successivamente, in seguito al legame affettuoso creatosi con Alessia, deciderà di agire per uno scopo alto. Enzo diventa supereroe non per scelta, ma per caso, senza che lo desideri in nessun modo; viene meno la corrispondenza superpoteri = superiorità morale, tanto più che inizialmente Enzo è caratterizzato per una forte misantropia e odio della società.


In ultima istanza, la riflessione scaturita da questo film, sta nella capacità di “riciclo” dell’immaginario del nostro tempo, in cui l’unico modo per fare fronte alle difficoltà del presente, è quello di esorcizzare la paura attraverso la dimensione e rappresentazione fantastica.


Eleonora Giovannini ©