martedì 21 ottobre 2014

F.R.I.E.N.D.S.

Ammettiamolo, quanti di noi si sono emozionati, hanno pianto trangugiando gelato, quando Rachel e Ross erano lì, lì per mettersi insieme e poi non lo facevano mai?
O quando si prendevano e si lasciavano?
Ancora le OTP, gli SHIP e la categoria dei "fangirl"/"fanboy" non esistevano, tuttavia credo che questi siano stati i primi germi che la serie televisiva "Friends" ha contribuito a far dilagare, anche nelle migliori famiglie.
Personalmente, ho amato questa sitcom. Credo addirittura che sia stata la prima in assoluto a cui mi sono affezionata. Trasmessa dal 1994 al 2004 sotto la NBC, è stata una delle più longeve di sempre, riscontrando un grandissimo successo anche a distanza di tempo. Per dirla in poche parole: chi non ha mai visto "Friends" non ha avuto un'adolescenza felice.

Creata dagli statunitensi David Crane, Kevin Bright e Marta Kauffman, la serie narra le avventure di un gruppo di amici di New York che, per caso, si ritrovano ad abitare sotto lo stesso tetto, all'appartamento 20. Questi sono: Rachel (Jennifer Aniston), Monica (Courteney Cox), Phoebe (Lisa Kudrow), Ross (David Schwimmer), Chandler (Matthew Perry) e Joey (Matt LeBlanc).
Esilaranti gag si susseguono una dietro l'altra, senza tuttavia mai mancare di originalità, freschezza e ironia. Anche alle tematiche di spessore vengono affiancati momenti di ilarità, ciò fa sì che lo spettatore non sia appesantito da una pappardella drammatica. "Friends" è una commedia ed è giustamente rimasta tale sempre.
Le avventure dei nostri protagonisti, appartengono alla normalità. Infatti, se c'è una cosa che mi piace particolarmente di questa sitcom è che, oltre alle storie, anche i dialoghi tra i sei personaggi sono attinenti alla sfera quotidiana. Loro stessi presentano dei tratti caratteriali che è possibile riscontrare in qualsiasi persona conosciuta.
Rachel è la ricca ragazza viziata che, tuttavia, cerca di sfuggire al controllo del padre.
Monica è la tipica ragazza nevrotica, piena di ossessioni e maniaca del controllo.
Phoebe è sognatrice, solare, aperta e piena di passioni.
Joey incarna il playboy italiano, sicuro di sé e desideroso di successo.
Chandler è il classico tipo infallibile nel lavoro, ma scarso in amore.
Ross è il ragazzo che tutte vorremmo avere. Amante della storia, dolce, sbadato, un po' idiota, ma sempre alla ricerca del vero amore.

Se vogliamo, "Friends" può essere considerato come l'"How I met your mother" degli anni '90, anche se, a mio modesto parere, rimane comunque superiore; sia perché il primo rappresenta una vera e propria novità nella televisione americana, sia perché è rimasto sempre un prodotto di qualità, cosa che purtroppo non posso dire del secondo, visto il pessimo finale di stagione (ma di questo ve ne parlerò in un post a parte).
"Friends" è rimasto un classico senza tempo nella cultura americana, e ciò lo possiamo riscontrare in vari riferimenti presenti in altrettanti telefilm di successo: Rachel Berry, protagonista del telefilm "Glee" si chiama così perché i suoi padri adottivi erano appassionati di "Friends"; e ancora, nella serie televisiva "Scrubs", l'inserviente paragona la storia di Elliot e JD, a quella di Ross e Rachel.
Insomma, questi sono solo alcuni dei tanti riferimenti di questa sitcom di successo, essa la fa da padrona nonostante gli anni ormai trascorsi, senza mancare di rimanere perfettamente attuale.
E a proposito di questo ho una solida certezza, che l'appartamento 20 non rimarrà mai vuoto.
Sarà sempre pieno di "amici".

Eleonora Giovannini ©





venerdì 10 ottobre 2014

Ulisse e il Dottore, due facce della stessa medaglia.

Durante una lezione di storia del teatro all'università, siamo entrati in argomento Dante, Ulisse e Divina Commedia.
Il nostro professore ci stava chiedendo, come mai Dante avesse collocato l'eroe dell'Odissea, uomo dotato di grande magnanimità, nell'ottava cerchia dell'inferno. Riflettendo sulle caratteristiche di questo personaggio mitologico, mi è sorto spontaneo fare un collegamento con il Dottore, protagonista della celebre serie tv della BBC, "Doctor Who".
Ho iniziato a vagare con la mente per altri lidi, e più ci pensavo, e più mi rendevo conto che entrambi hanno un sacco di punti in comune, arrivando alla conclusione che, se Dante fosse vissuto ai giorni nostri, avrebbe collocato anche il Dottore nell'ottavo cerchio infernale.
Vi spiego perché.

Entrambi sono innamorati di tutto ciò che è umano, entrambi sono curiosi come bambini nonostante le loro venerande età, e sono spinti verso la ricerca delle loro ossessioni. Sono lontani da casa ma profondamente legati al luogo natio, nel quale sembra sia quasi destino non debbano tornare. Gallifrey da una parte, Itaca dall'altra.
Uomini caratterizzati da grande dolcezza, ma allo stesso tempo di rabbia. Sinceri e menzogneri.
Ulisse, come il Dottore, sarà amato da numerose figure femminili e non solo, entrambi incarnano un esempio vivente di persona invincibile, che, anche senza l'uso della violenza ma facendo fede solo alla propria intelligenza, riescono ad uscire indenni da molteplici situazioni più che spiacevoli.

Tornando alla domanda iniziale, ovvero il perché Dante collocherebbe entrambi nell'inferno, la risposta è da ricercare nel fatto che tutti e due sono spinti da un'eccessiva sete di conoscenza, che li porterà a sacrificare gli affetti. Un aspetto che, se esasperato, porta a gravi conseguenze. Sfidare le leggi del tempo, cambiarlo, modificarlo, piegarlo, è pressoché uguale a spingersi verso le colonne d'Ercole, mettendo a rischio i propri compagni di avventura, facendo di Ulisse un consigliere fraudolento, istigandoli a seguirlo (come del resto il Dottore stesso farà nelle proprie avventure con le sue compagne).
Non sono uomini fatti per restare. Tendono ad allargare illimitatamente i confini del conoscere, sono quasi impossibilitati per natura a fermarsi, esplorando i mari con immense navi l'uno, attraversando il tempo e lo spazio a bordo di una cabina blu, l'altro. E' quello che Ulisse dirà nel canto dell'inferno.


"O frati", dissi, "che per cento milia
perigli siete giunti a l'occidente, 
a questa tanto picciola vigilia

d'i nostri sensi ch'è del rimanete
non vogliate negar l'esperienza, 
di retro al sol, del mondo senza gente.

Considerate la vostra semenza:
fatti non foste per viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza".

(vv.112-120) 


Innumerevoli volti si celano dietro il Dottore ed Ulisse, proprio quest'ultimo porta il nome della sua innata indole: Odisseo. Considerato per generazioni e generazioni, una leggenda, che tutti davano per morto dopo la guerra di Troia, ma in realtà più vivo che mai.
Tutto ciò ci porta alla fine, ad un'unica domanda.
Ulisse chi?
Il Dottore chi?

Eleonora Giovannini ©



sabato 4 ottobre 2014

Gatsby credeva nella luce verde.

Mi sono imbattuta in questo libro grazie alla mia professoressa di inglese, che, durante le vacanze estive dello scorso anno, decise di assegnarcelo.
Lo finii in una settimana. Credo che sia uno degli ultimi libri letti che più amo in assoluto, e adesso tenterò di spiegarvi il perché.

Prima di tutto, è bene tenere a mente, che "Il grande Gatsby" non è una storia d'amore. Qualcuno di voi storcerà il naso, ma se andate in profondità, se provate a cogliere il vero senso del libro, vedrete che mi darete ragione. Non è una storia d'amore, bensì una storia che si focalizza interamente sul sogno. Quel sogno che per Gatsby è rappresentato dalla luce verde, scorta ogni sera dall'estremità del molo della casa della sua amata Daisy, che tenta di afferrare, in lontananza, dal proprio pontile; gli sembra quasi di toccarla, ahimè non ci riuscirà mai.
Il personaggio di Gatsby è stato dipinto dalla critica, come manifesto del "sogno americano", ovvero un uomo che, da povero quale è, riesce solo grazie a se stesso, alle proprie capacità e alla propria forza di volontà, ad emergere e a riscattare le misere condizioni da cui proviene. Tuttavia, in questo specifico romanzo, Fitzgerald vuole raccontarci la storia di chi ha fallito l'impresa, dimostrando quanto un tale traguardo sia in realtà illusorio, fittizzio e come porti alla distruzione di se stessi. Per questi motivi, quindi, sarebbe più lecito affermare che Gatsby rappresenta la morte del sogno americano.

"La notte, nel letto, lo perseguitavano le ambizioni più grottesche e fantastiche, il cervello gli tesseva un universo di sfarzo indicibile, mentre l'orologio ticchettava sul lavabo e la luna gli intrideva di luce umida gli abiti sparsi alla rinfusa sul pavimento. Ogni notte alimentava le sue fantasie finché la sonnolenza si abbatteva con un abbraccio dimentico su qualche scena vivace. Per un certo periodo queste fantasticherie gli procurarono uno sfogo all'immaginazione; erano un'intuizione confortante dell'irrealtà della realtà, una promessa che la roccaforte del mondo era saldamente basata sull'ala di una fiaba."

L'ambizione di Gatsby è quella di riconquistare un vecchio amore, Daisy, che nel frattempo si era sposata con un ricco giocatore di polo, l'arrogante Tom Buchanan, dopo averla conquistata con una costosissima collana. Gatsby capisce quindi che per riuscire a riavere Daisy deve "mirare in alto", "alle stelle", poiché la ragazza non fa mistero di amare, ma soprattutto di credere, nei soldi. 
Egli, provenendo da una condizione sociale poverissima, riesce, anche grazie a traffici illegali ed episodi di gangsterismo, a possedere non solo moltissimo denaro, ma anche beni immobili, macchine costose e chi più ne ha più ne metta. Compra appositamente una sontuosa villa proprio di fronte alla residenza di Daisy, dando ogni sera una festa ai limiti dello sfarzo, della sregolatezza e del lusso, con la speranza che la sua amata venga attratta e sedotta dalla sua grande ricchezza.


"Sono contenta che sia una bambina. E spero che sia stupida: è la miglior cosa che una donna possa essere in questo mondo, una bella piccola stupida."

Tutto ciò comporterà una distorsione della sua persona, in quanto nessuno dei partecipanti alla feste (pubbliche) sa chi effettivamente egli sia, anzi, spesso la società frivola e superficiale della New York degli anni venti, lo dipingerà come un poco di buono e un assassino. Pur essendo circondato da miriade di persone, è un uomo solo. Fatta eccezione per il cugino di Daisy, Nick Carraway, unico amico, anima pura tra i corrotti e narratore della storia. 
Nick tenterà spesso di riportarlo alla realtà, cerca disperatamente di fargli capire che sta vivendo nel passato, nella nostalgia di un ricordo che non potrà mai tornare nel presente, e che ciò che ha in mente di fare è totalmente folle. Tuttavia non smetterà mai di aiutarlo, anzi, sarà l'unica persona verso cui proverà del bene. 
Nonostante Gatsby riesca ad avere nuovamente un rapporto con Daisy, deve fare i conti con la personalità della ragazza, la quale, essendo vuota e fedele solo a degli ideali materialistici, è incapace di provare alcun tipo di sentimento, ed è per questo motivo che, benché le piaccia la sua compagnia, non è in grado di affermare di non aver mai amato il marito Tom; anche se quest'ultimo la tradisce da sempre con Myrtle, la moglie del povero meccanico Wilson. 
A seguito di un tragico incidente, nel quale perderà la vita la stessa Myrtle, per mano di una Daisy in piena crisi di nervi, Gatsby decide comunque di addossarsi la colpa (anche se non lo dichiarerà mai apertamente a causa degli eventi successivi) e dopo una serie di manipolazioni psicologiche messe in atto da Tom per convincere Wilson della colpevolezza di Gatsby, quest'ultimo troverà la fine una tragica mattina, ad opera di Wilson stesso, che subito dopo si toglierà la vita.
Di grande impatto è la fine del romanzo, in quanto assistiamo alla vigliacca dipartita di Daisy e il marito, i quali preferiscono fuggire (lei in primis) piuttosto che rimanere per il funerale di Gatsby. L'unico che rimarrà a vegliare sulla sua tomba, sarà invece Nick. Nick che sarà disgustato dalla corruzione, dalla superficialità e dalla codardia dei suoi familiari, che ormai non considera più come tali. 
Il romanzo è quindi la testimonianza del fatto che, il sogno americano è destinato a fallire, perché gli ideali non corrispondo alla realtà sociale. Se nasci povero morirai povero, se nasci ricco morirai ricco, e questa disparità sarà destinata a durare in eterno. 

Per concludere vorrei aprire una parentesi sul film omonimo, uscito nel 2013 sotto la regia di Baz Luhrmann, con il favoloso Leonardo Di Caprio (assolutamente azzeccato per il ruolo di Gatsby!), Carey Mulligan e Tobey Maguire. 
Che dire, l'ho trovato perfetto in ogni suo aspetto, fedele quasi interamente al libro, è riuscito a sviscerare ogni aspetto del romanzo, il messaggio dell'autore e il carattere di ogni personaggio di Fitzgerald. 
Ho apprezzato moltissimo la fotografia, i costumi, i colori ma soprattutto la colonna sonora, composta interamente da brani moderni di Lana Del Rey, Florence + The Machine, Fergie ed altri. Un nastro rosa a chiudere una bomboniera elegante, bella, perfetta. 
Che aspettate, se ancora non l'avete fatto, correte a vederlo!

Eleonora Giovannini ©