domenica 15 febbraio 2015

La scomparsa di Eleanor Rigby

Ammetto di essermi avvicinata a questo film per tre motivi principali: la protagonista porta il mio stesso nome, sono fan dei Beatles e subisco il fascino degli occhioni azzurri di James McAvoy.
Tuttavia, se vi aspettavate che la canzone dei quattro ragazzi di Liverpool avesse a che vedere con la trama, temo che rimarrete delusi; infatti nel film stesso, viene detto chiaramente che si tratta di una semplicissima coincidenza dovuta al fatto che il padre di Eleanor si chiami Rigby di cognome ed abbia, di conseguenza, voluto chiamare la figlia in quel modo perché fan dei Beatles.
Come dicevo, la storia verte su tutt'altra tematica, ovvero la perdita di un figlio piccolo e la conseguente disfatta di un matrimonio.
Pur partendo dalla storia d'amore tra Eleanor e Connor, il film si concentra principalmente sulla loro crisi matrimoniale, sull'incapacità di ritrovare un ordine o quanto meno un equilibrio dopo la tragica scomparsa di loro figlio Cody. E' un film fatto di silenzi, di frasi non dette, di incapacità a dialogare, di paure e insicurezze; non solo per i protagonisti, ma anche per le rispettive famiglie. Ci mostra come tutti siamo stati vittime di situazioni irrisolvibili, tragici eventi, difficoltà, ma ci fa capire che c'è sempre una soluzione, che non siamo soli e che è possibile accettare determinate situazioni.

Perché Eleanor scompare?
Beh, diciamo che non scompare nel vero senso del termine, in quanto la ritroviamo per tutta la durata della pellicola, piuttosto il suo è uno scomparire dal marito a seguito di un tentato suicidio; semplicemente torna a vivere dai suoi genitori, con i quali spererà di trovare un ambiente che la aiuti a far dimenticare il proprio passato.
Connor non farà altro che cercarla, disperatamente tenterà un approccio per trovare un compromesso, una soluzione. Entrambi si amano in fondo, perché dovrebbero mollare tutto? Perché sembra così difficile rimettere insieme i pezzi? Sarebbe tutto più semplice, forse, se nella vita bastasse solo premere rewind per ricominciare tutto da capo.

Trovo che questo film sia stato, tutto sommato interessante, certo ha molti difetti; i lunghi silenzi, le numerose pause e i colori tendenti al marrone e al blu scuro, fanno sì che scorra lentamente, insomma, non ci sono grandissimi colpi di scena e quei pochi tentatavi fatti dal regista, vengono subito sopiti.
Non solo, ma non si capisce molto bene come Eleanor e Connor siano entrati in crisi, non c'è nessun accenno al motivo del tentato suicidio di lei, né ai loro problemi di coppia; non viene neppure minimamente accennato a come Cody (che in tutto il film viene chiamato per nome solo una volta) sia morto.
Non lo so, forse mi sarebbe piaciuto vederlo, forse avrei avuto le idee più chiare in merito allo svolgimento della trama. E' come se il regista si concentrasse troppo sulla visione di Eleonor trascurando un po' quella del marito. E questo è sbagliato, essendo loro due i protagonisti della storia.
Altra pecca che ho riscontrato è stato il finale aperto: semplicemente si vedono Eleonor e Connor che si inseguono camminando sulla stessa strada, nello stesso parco in cui avevano consumato il loro amore giovanile. Due linee parallele che sembrano non essere mai destinate ad incontrarsi, pur correndosi dietro.
Nonostante ciò, però, credo che il regista abbia voluto lasciar intuire che i due protagonisti, prima o poi, si sarebbero dovuti ritrovare; questo l'ho capito per due motivi principali:
1. E' Eleanor a seguire Connor. Ciò presuppone una volontà al riavvicinamento di lei, dato che per tutto il film si intuiva implicitamente che lui tentava ogni modo possibile per avvicinarsi a lei.
2. Eleanor sorride, come se avesse la certezza che sarebbe tornata da lui, considerando anche il fatto che era appena tornata da una permanenza di studio a Parigi che l'aveva tenuta lontana da casa per parecchio tempo.

Per concludere, se devo dire se questo film mi sia piaciuto o meno, non saprei dare una risposta certa. Forse è stato fatto apposta per aprire dibattiti e mille diverse interpretazioni.
Quindi sarebbe proprio bello se voi lo guardaste.

Eleonora Giovannini ©




Still Alice

Richard Glatzer e Wash Westmoreland hanno voluto fortemente che, chiunque guardasse questo film, si sentisse completamente parte della storia della protagonista, o meglio, della malattia di cui Alice è diventata vittima: il morbo di Alzheimer.
Il senso di smarrimento percorre ogni singolo sviluppo della pellicola, tanto da fare in modo di sentirci a nostra volta persi, spogliati di qualsiasi sicurezza. Vivremo le stesse sensazioni che la Alice malata vive, come il non sapere dove ci troviamo o dove sia il bagno in casa nostra. Ogni cambio di scena, ogni cambiamento di tempo e di spazio, ci proietta nella sua dimensione personale e nella sua condizione di malessere.
Paesaggi e oggetti sfocati, indirizzi dimenticati, parole impossibili da raggiungere.
Ma questo non è l'unico aspetto che ho apprezzato di più di questa pellicola, anzi, credo che il bello risieda proprio nel modo in cui la protagonista affronta l'Alzaheimer; Alice è senza dubbio simbolo di forza, ogni giorno della sua vita combatte fino allo stremo pur di non essere privata dei propri ricordi migliori, combatte per non perdere totalmente la propria indipendenza, le proprie emozioni, i propri ricordi. Ogni giorno si sforza di lottare contro qualcosa che sa che prima o poi la porterà a perdere tutto, tutto quello che era riuscita ad ottenere nei suoi cinquant'anni di vita. La carriera, un matrimonio, i figli. Non solo, ma essendo la sua malattia ereditaria, il dolore è ancora più grande nel sapere che questi ultimi saranno, un giorno, vittime come lei.
Nel primo stadio della malattia, quello meno grave, si affiderà alla tecnologia, in un iPhone scriverà le domande da porsi ogni giorno, quelle che dovrà a tutti i costi ricordarsi fino all'ultimo.
Come si chiama la mia figlia più grande?
Dove vivo?
In che mese sono nata?

Ho trovato particolarmente commovente il video che la Alice del passato aveva registrato per la Alice del futuro, dove, come una mamma amorevole, racconta ad una donna smarrita che ha avuto una vita felice e piena di successi personali e che non deve preoccuparsi di quello che la sua mente ormai non è più in grado di percepire o ricordare.
Credo che la scena più toccante di tutte, sia proprio quella in cui lei e il marito sono ad un Frozen Yogurt, e lei poggia delicatamente la testa sulla sua spalla, affidandosi completamente a lui. In questo semplice gesto, forse banale, è racchiuso tutto l'amore che lega Alice al marito e viceversa; nonostante la malattia, lei rimane lei. Rimane Alice.

Un film che lascerà gli spettatori sicuramente colpiti, partecipi sentiti di un dolore in cui inaspettatamente saranno costretti ad immedesimarsi. Sono sicura che ognuno si farà la stessa identica domanda: "E se succedesse a me?".
Tuttavia non è assolutamente una pellicola ridondante e piena di scene strappalacrime, anzi, l'argomento è affrontato in modo del tutto consapevole e delicato, assolutamente realista. Per questo ritengo che sia un film che valga la pena di essere visto. Julian Moore è stata perfetta in ogni singolo momento, nessun'altra attrice avrebbe saputo recitare meglio, così come ho apprezzato Kristen Stewart nei panni della figlia ribelle ma forse la più affezionata alla madre e al modo in cui avrebbe dovuto convivere con la malattia.
Concludo la mia recensione riportandovi il discorso che Alice tiene ad un incontro dedicato ai malati di Alzheimer.

"In tutta la mia vita ho accumulato ricordi, che sono diventati, in un certo senso, le cose a cui tengo di più. La sera in cui ho conosciuto mio marito, la prima volta che ho tenuto un libro in mano, avere dei figli, fare amicizia, viaggiare per il mondo. Tutto ciò che ho accumulato nel corso della vita, tutto quello per cui ho duramente lavorato, adesso sta per essere strappato via. Come potete immaginare, o come sapete, questo è l'inferno. Ma peggiorerà. Chi prenderebbe sul serio qualcuno che è lontanissimo da ciò che era un tempo? Il nostro strano modo di essere e le frasi scomposte cambiano la percezione che gli altri hanno di noi e la percezione di noi stessi. Diventiamo ridicoli, incapaci, comici. Ma questo non è ciò che siamo, questa è la nostra malattia. E come ogni malattia c'è un causa, uno sviluppo e potrebbe esserci una cura. Il mio più grande desiderio è che i miei figli, i nostri figli, le generazioni future, non debbano affrontare ciò che sto affrontando oggi. Ma tornando ad ora, io sono ancora viva. Io so di essere viva. So di avere persone che amo. So che cosa voglio fare nella mia vita. Sto combattendo contro me stessa non per non avere più niente da ricordare, ma perché ho ancora momenti di gioia e felicità. E per favore, non pensate che io stia soffrendo. Non sto soffrendo. Sto combattendo. Combattendo per essere parte di qualcosa, per stare connessa con quella che ero. Quindi "vivi il momento" mi dico. E' tutto ciò che davvero posso fare, vivere il momento"

Eleonora Giovannini ©