domenica 9 novembre 2014

Per ricordarmi chi sono

Mi scuso già da subito se questo post sarà molto personale, ma sto per tirare in ballo il mio film preferito, per cui non posso farne a meno.
La mia avventura con questa pellicola cinematografica, inizia all'età di dieci anni. Ero praticamente una bambina, quando mio padre tornò a casa da lavoro con la cassetta de "Il favoloso mondo di Amélie".
Lo ricordo come se fosse ieri, mi sorrise e mi disse: "Ele ho comprato il film dove c'è un maialino che spegne l'abat-jour!". Ovviamente di quel giorno, ricordo solo queste parole, il film lo dovetti rivedere anni dopo per capirlo davvero, tuttavia mi rimase impressa una scena in particolare: Amélie, seduta sulle poltroncine rosse di un cinema, il venerdì sera, che osserva.
Le piace:
- Guardare i particolari che nessuno noterà mai
- Voltarsi per osservare i volti degli spettatori in sala
Non le piace:
- Quando nei film americani, il guidatore non guarda la strada

Questa scena mi fu sufficiente per capire quanto fossi simile a lei. Quando riguardai il film, a distanza di tempo, ero già grande e rimasi esterrefatta nel comprendere quanto la protagonista, Amélie, fosse così vicina a me stessa. Ma che dico vicina, Amélie ed io siamo la stessa persona. Mi vengono i brividi a pensare a come uno sceneggiatore quale Jean-Pierre Jeunet sia stato in grado di trasporre in modo perfetto una personalità davvero esistente. Anche se lui non lo saprà mai.
Fu questo film in particolare a farmi credere che chi diceva che "la vita non è un film", si sbagliava di grosso. Per esempio, se qualcuno mi chiedesse di descrivermi in poche parole, io gli darei direttamente il dvd de "Il favoloso mondo di Amélie".
Ma chi è Amélie? Dire che è la solita ragazza sognatrice mi sembra decisamente riduttivo. Direi piuttosto che è una persona normale ma che ha in dono una grande fantasia. Ama la vita, nonostante i difetti e le difficoltà, cerca sempre di aiutare il prossimo, o meglio, chi davvero se lo merita, sacrificando se stessa. Architetta in piena notte piani infallibili per dare una lezione al prepotente di turno.

"Lei certamente non rischia di essere un ortaggio, perché perfino un carciofo ha un cuore!"

Amélie non è una sognatrice, lei vive direttamente un mondo tutto suo, le piace osservare la realtà da una prospettiva diversa, cogliendo il bello dove non tutti riescono a vederlo.
Ma è anche una che ha paura di rischiare, di fare la figura della sciocca e di essere considerata strana dalla gente che la circonda.

"Tempi duri per i sognatori!"

Parlando del film in sé (e quindi parlando in modo serio e professionale), credo fermamente che sia il migliore, o perlomeno uno dei migliori, usciti fino ad ora nel nostro mondo. E' un classico senza tempo, e vi consiglio vivamente di guardarlo se non l'avete fatto; o di riguardarlo se è tanto che non l'avete visto.
Rimarrete affascinati (ogni volta come fosse la prima) dalla fotografia, dai colori caldi di Parigi e dalla colonna sonora. Non potrete non affezionarvi ad Amélie, all'uomo di vetro, a Nino, alla barista, all'uomo della scatola dei giocattoli, allo scrittore fallito e senza speranza... e potrei continuare all'infinito.
Ogni scena vi rimarrà impressa anche per le bellissime frasi che arricchiscono, in modo dolce e mai ridondante, tutto il film. Alla fine della visione, credetemi, verrete spinti da una strana voglia di dichiarare amore alla persona che più amate, ad abbracciare vostra madre, a regalarvi una piccola gioia personale. Crederete che ogni cosa sia possibile, perché è così. Voi lo sapete. Sapete che ogni cosa è possibile se la desiderate con tutto il vostro cuore, con tutta la vostra anima, con tutto il vostro sangue. L'importante è non arrendersi, l'importante è capire che le difficoltà ci servono per imparare che, una volta superate, saremo sempre più vicini alla meta.

"Mia piccola Amélie, lei non ha le ossa di vetro. Lei può scontrarsi con la vita. Se lei si lascia scappare questa occasione con il tempo sarà il suo cuore che diventerà secco e fragile come il mio scheletro. Perciò si lanci, accidenti a lei!"

Eleonora Giovannini ©




martedì 21 ottobre 2014

F.R.I.E.N.D.S.

Ammettiamolo, quanti di noi si sono emozionati, hanno pianto trangugiando gelato, quando Rachel e Ross erano lì, lì per mettersi insieme e poi non lo facevano mai?
O quando si prendevano e si lasciavano?
Ancora le OTP, gli SHIP e la categoria dei "fangirl"/"fanboy" non esistevano, tuttavia credo che questi siano stati i primi germi che la serie televisiva "Friends" ha contribuito a far dilagare, anche nelle migliori famiglie.
Personalmente, ho amato questa sitcom. Credo addirittura che sia stata la prima in assoluto a cui mi sono affezionata. Trasmessa dal 1994 al 2004 sotto la NBC, è stata una delle più longeve di sempre, riscontrando un grandissimo successo anche a distanza di tempo. Per dirla in poche parole: chi non ha mai visto "Friends" non ha avuto un'adolescenza felice.

Creata dagli statunitensi David Crane, Kevin Bright e Marta Kauffman, la serie narra le avventure di un gruppo di amici di New York che, per caso, si ritrovano ad abitare sotto lo stesso tetto, all'appartamento 20. Questi sono: Rachel (Jennifer Aniston), Monica (Courteney Cox), Phoebe (Lisa Kudrow), Ross (David Schwimmer), Chandler (Matthew Perry) e Joey (Matt LeBlanc).
Esilaranti gag si susseguono una dietro l'altra, senza tuttavia mai mancare di originalità, freschezza e ironia. Anche alle tematiche di spessore vengono affiancati momenti di ilarità, ciò fa sì che lo spettatore non sia appesantito da una pappardella drammatica. "Friends" è una commedia ed è giustamente rimasta tale sempre.
Le avventure dei nostri protagonisti, appartengono alla normalità. Infatti, se c'è una cosa che mi piace particolarmente di questa sitcom è che, oltre alle storie, anche i dialoghi tra i sei personaggi sono attinenti alla sfera quotidiana. Loro stessi presentano dei tratti caratteriali che è possibile riscontrare in qualsiasi persona conosciuta.
Rachel è la ricca ragazza viziata che, tuttavia, cerca di sfuggire al controllo del padre.
Monica è la tipica ragazza nevrotica, piena di ossessioni e maniaca del controllo.
Phoebe è sognatrice, solare, aperta e piena di passioni.
Joey incarna il playboy italiano, sicuro di sé e desideroso di successo.
Chandler è il classico tipo infallibile nel lavoro, ma scarso in amore.
Ross è il ragazzo che tutte vorremmo avere. Amante della storia, dolce, sbadato, un po' idiota, ma sempre alla ricerca del vero amore.

Se vogliamo, "Friends" può essere considerato come l'"How I met your mother" degli anni '90, anche se, a mio modesto parere, rimane comunque superiore; sia perché il primo rappresenta una vera e propria novità nella televisione americana, sia perché è rimasto sempre un prodotto di qualità, cosa che purtroppo non posso dire del secondo, visto il pessimo finale di stagione (ma di questo ve ne parlerò in un post a parte).
"Friends" è rimasto un classico senza tempo nella cultura americana, e ciò lo possiamo riscontrare in vari riferimenti presenti in altrettanti telefilm di successo: Rachel Berry, protagonista del telefilm "Glee" si chiama così perché i suoi padri adottivi erano appassionati di "Friends"; e ancora, nella serie televisiva "Scrubs", l'inserviente paragona la storia di Elliot e JD, a quella di Ross e Rachel.
Insomma, questi sono solo alcuni dei tanti riferimenti di questa sitcom di successo, essa la fa da padrona nonostante gli anni ormai trascorsi, senza mancare di rimanere perfettamente attuale.
E a proposito di questo ho una solida certezza, che l'appartamento 20 non rimarrà mai vuoto.
Sarà sempre pieno di "amici".

Eleonora Giovannini ©





venerdì 10 ottobre 2014

Ulisse e il Dottore, due facce della stessa medaglia.

Durante una lezione di storia del teatro all'università, siamo entrati in argomento Dante, Ulisse e Divina Commedia.
Il nostro professore ci stava chiedendo, come mai Dante avesse collocato l'eroe dell'Odissea, uomo dotato di grande magnanimità, nell'ottava cerchia dell'inferno. Riflettendo sulle caratteristiche di questo personaggio mitologico, mi è sorto spontaneo fare un collegamento con il Dottore, protagonista della celebre serie tv della BBC, "Doctor Who".
Ho iniziato a vagare con la mente per altri lidi, e più ci pensavo, e più mi rendevo conto che entrambi hanno un sacco di punti in comune, arrivando alla conclusione che, se Dante fosse vissuto ai giorni nostri, avrebbe collocato anche il Dottore nell'ottavo cerchio infernale.
Vi spiego perché.

Entrambi sono innamorati di tutto ciò che è umano, entrambi sono curiosi come bambini nonostante le loro venerande età, e sono spinti verso la ricerca delle loro ossessioni. Sono lontani da casa ma profondamente legati al luogo natio, nel quale sembra sia quasi destino non debbano tornare. Gallifrey da una parte, Itaca dall'altra.
Uomini caratterizzati da grande dolcezza, ma allo stesso tempo di rabbia. Sinceri e menzogneri.
Ulisse, come il Dottore, sarà amato da numerose figure femminili e non solo, entrambi incarnano un esempio vivente di persona invincibile, che, anche senza l'uso della violenza ma facendo fede solo alla propria intelligenza, riescono ad uscire indenni da molteplici situazioni più che spiacevoli.

Tornando alla domanda iniziale, ovvero il perché Dante collocherebbe entrambi nell'inferno, la risposta è da ricercare nel fatto che tutti e due sono spinti da un'eccessiva sete di conoscenza, che li porterà a sacrificare gli affetti. Un aspetto che, se esasperato, porta a gravi conseguenze. Sfidare le leggi del tempo, cambiarlo, modificarlo, piegarlo, è pressoché uguale a spingersi verso le colonne d'Ercole, mettendo a rischio i propri compagni di avventura, facendo di Ulisse un consigliere fraudolento, istigandoli a seguirlo (come del resto il Dottore stesso farà nelle proprie avventure con le sue compagne).
Non sono uomini fatti per restare. Tendono ad allargare illimitatamente i confini del conoscere, sono quasi impossibilitati per natura a fermarsi, esplorando i mari con immense navi l'uno, attraversando il tempo e lo spazio a bordo di una cabina blu, l'altro. E' quello che Ulisse dirà nel canto dell'inferno.


"O frati", dissi, "che per cento milia
perigli siete giunti a l'occidente, 
a questa tanto picciola vigilia

d'i nostri sensi ch'è del rimanete
non vogliate negar l'esperienza, 
di retro al sol, del mondo senza gente.

Considerate la vostra semenza:
fatti non foste per viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza".

(vv.112-120) 


Innumerevoli volti si celano dietro il Dottore ed Ulisse, proprio quest'ultimo porta il nome della sua innata indole: Odisseo. Considerato per generazioni e generazioni, una leggenda, che tutti davano per morto dopo la guerra di Troia, ma in realtà più vivo che mai.
Tutto ciò ci porta alla fine, ad un'unica domanda.
Ulisse chi?
Il Dottore chi?

Eleonora Giovannini ©



sabato 4 ottobre 2014

Gatsby credeva nella luce verde.

Mi sono imbattuta in questo libro grazie alla mia professoressa di inglese, che, durante le vacanze estive dello scorso anno, decise di assegnarcelo.
Lo finii in una settimana. Credo che sia uno degli ultimi libri letti che più amo in assoluto, e adesso tenterò di spiegarvi il perché.

Prima di tutto, è bene tenere a mente, che "Il grande Gatsby" non è una storia d'amore. Qualcuno di voi storcerà il naso, ma se andate in profondità, se provate a cogliere il vero senso del libro, vedrete che mi darete ragione. Non è una storia d'amore, bensì una storia che si focalizza interamente sul sogno. Quel sogno che per Gatsby è rappresentato dalla luce verde, scorta ogni sera dall'estremità del molo della casa della sua amata Daisy, che tenta di afferrare, in lontananza, dal proprio pontile; gli sembra quasi di toccarla, ahimè non ci riuscirà mai.
Il personaggio di Gatsby è stato dipinto dalla critica, come manifesto del "sogno americano", ovvero un uomo che, da povero quale è, riesce solo grazie a se stesso, alle proprie capacità e alla propria forza di volontà, ad emergere e a riscattare le misere condizioni da cui proviene. Tuttavia, in questo specifico romanzo, Fitzgerald vuole raccontarci la storia di chi ha fallito l'impresa, dimostrando quanto un tale traguardo sia in realtà illusorio, fittizzio e come porti alla distruzione di se stessi. Per questi motivi, quindi, sarebbe più lecito affermare che Gatsby rappresenta la morte del sogno americano.

"La notte, nel letto, lo perseguitavano le ambizioni più grottesche e fantastiche, il cervello gli tesseva un universo di sfarzo indicibile, mentre l'orologio ticchettava sul lavabo e la luna gli intrideva di luce umida gli abiti sparsi alla rinfusa sul pavimento. Ogni notte alimentava le sue fantasie finché la sonnolenza si abbatteva con un abbraccio dimentico su qualche scena vivace. Per un certo periodo queste fantasticherie gli procurarono uno sfogo all'immaginazione; erano un'intuizione confortante dell'irrealtà della realtà, una promessa che la roccaforte del mondo era saldamente basata sull'ala di una fiaba."

L'ambizione di Gatsby è quella di riconquistare un vecchio amore, Daisy, che nel frattempo si era sposata con un ricco giocatore di polo, l'arrogante Tom Buchanan, dopo averla conquistata con una costosissima collana. Gatsby capisce quindi che per riuscire a riavere Daisy deve "mirare in alto", "alle stelle", poiché la ragazza non fa mistero di amare, ma soprattutto di credere, nei soldi. 
Egli, provenendo da una condizione sociale poverissima, riesce, anche grazie a traffici illegali ed episodi di gangsterismo, a possedere non solo moltissimo denaro, ma anche beni immobili, macchine costose e chi più ne ha più ne metta. Compra appositamente una sontuosa villa proprio di fronte alla residenza di Daisy, dando ogni sera una festa ai limiti dello sfarzo, della sregolatezza e del lusso, con la speranza che la sua amata venga attratta e sedotta dalla sua grande ricchezza.


"Sono contenta che sia una bambina. E spero che sia stupida: è la miglior cosa che una donna possa essere in questo mondo, una bella piccola stupida."

Tutto ciò comporterà una distorsione della sua persona, in quanto nessuno dei partecipanti alla feste (pubbliche) sa chi effettivamente egli sia, anzi, spesso la società frivola e superficiale della New York degli anni venti, lo dipingerà come un poco di buono e un assassino. Pur essendo circondato da miriade di persone, è un uomo solo. Fatta eccezione per il cugino di Daisy, Nick Carraway, unico amico, anima pura tra i corrotti e narratore della storia. 
Nick tenterà spesso di riportarlo alla realtà, cerca disperatamente di fargli capire che sta vivendo nel passato, nella nostalgia di un ricordo che non potrà mai tornare nel presente, e che ciò che ha in mente di fare è totalmente folle. Tuttavia non smetterà mai di aiutarlo, anzi, sarà l'unica persona verso cui proverà del bene. 
Nonostante Gatsby riesca ad avere nuovamente un rapporto con Daisy, deve fare i conti con la personalità della ragazza, la quale, essendo vuota e fedele solo a degli ideali materialistici, è incapace di provare alcun tipo di sentimento, ed è per questo motivo che, benché le piaccia la sua compagnia, non è in grado di affermare di non aver mai amato il marito Tom; anche se quest'ultimo la tradisce da sempre con Myrtle, la moglie del povero meccanico Wilson. 
A seguito di un tragico incidente, nel quale perderà la vita la stessa Myrtle, per mano di una Daisy in piena crisi di nervi, Gatsby decide comunque di addossarsi la colpa (anche se non lo dichiarerà mai apertamente a causa degli eventi successivi) e dopo una serie di manipolazioni psicologiche messe in atto da Tom per convincere Wilson della colpevolezza di Gatsby, quest'ultimo troverà la fine una tragica mattina, ad opera di Wilson stesso, che subito dopo si toglierà la vita.
Di grande impatto è la fine del romanzo, in quanto assistiamo alla vigliacca dipartita di Daisy e il marito, i quali preferiscono fuggire (lei in primis) piuttosto che rimanere per il funerale di Gatsby. L'unico che rimarrà a vegliare sulla sua tomba, sarà invece Nick. Nick che sarà disgustato dalla corruzione, dalla superficialità e dalla codardia dei suoi familiari, che ormai non considera più come tali. 
Il romanzo è quindi la testimonianza del fatto che, il sogno americano è destinato a fallire, perché gli ideali non corrispondo alla realtà sociale. Se nasci povero morirai povero, se nasci ricco morirai ricco, e questa disparità sarà destinata a durare in eterno. 

Per concludere vorrei aprire una parentesi sul film omonimo, uscito nel 2013 sotto la regia di Baz Luhrmann, con il favoloso Leonardo Di Caprio (assolutamente azzeccato per il ruolo di Gatsby!), Carey Mulligan e Tobey Maguire. 
Che dire, l'ho trovato perfetto in ogni suo aspetto, fedele quasi interamente al libro, è riuscito a sviscerare ogni aspetto del romanzo, il messaggio dell'autore e il carattere di ogni personaggio di Fitzgerald. 
Ho apprezzato moltissimo la fotografia, i costumi, i colori ma soprattutto la colonna sonora, composta interamente da brani moderni di Lana Del Rey, Florence + The Machine, Fergie ed altri. Un nastro rosa a chiudere una bomboniera elegante, bella, perfetta. 
Che aspettate, se ancora non l'avete fatto, correte a vederlo!

Eleonora Giovannini ©








martedì 2 settembre 2014

La fine del viaggio.

Premesse
Si sa, quando un film, un telefilm, un libro o qualsiasi altra cosa mi prende, mi dà emozioni e mi fa rimanere con le lacrime agli occhi come la peggio deficiente di turno, ecco che si scatena anche il mio spirito critico, dando sfoggio di mille teorie, supposizioni e chi più ne ha più ne metta.
E' quello che è successo a seguito della tredicesima puntata di "Doctor Who" della quarta stagione.
So che molti non saranno d'accordo con me, so che molti Rose non l'hanno mai sopportata e che hanno mal visto questa versione romantica tra lei e il Dottore, tuttavia credo che il bello di questo telefilm, sta nel lasciarti libero di poter avere la tua visione delle cose.

Rose e il Dottore
E' finita che Ten ha riportato Rose nell'universo parallelo, lasciandola con la propria metacrisi, un semi Dottore umano, identico a lui, con stessi ricordi, pensieri, sentimenti. All'inizio, lei non appare molto felice di questa soluzione, tant'è vero che gli urla a tutta voce "MA LUI NON E' TE". Come biasimarla, è così. Tuttavia credo che le parole di Donna le abbiano fatto capire (sia a lei che a me) il valore che il Dottore umano incarna, le dice appunto "Ma non capisci ciò che ti sta dando?". E sì, quello che effettivamente emerge da questa storia è che il Dottore è destinato a stare solo, ma che Rose sarà l'unico amore della sua vita. Perché? Perché le affida la parte umana di lui, la più preziosa ma anche la più incontrollabile, riponendo in lei la fiducia nel fatto che saprà prendersene cura. 
Inoltre, il Dottore sa che lui, da alieno quale è, non sarà mai in grado di dirle "Ti amo", nonostante sia stato vicinissimo a dirglielo, nonostante sia palese questo sentimento nei suoi confronti. Questo perché, a parer mio, benché si mostri più umano di quello che è in realtà, non lo è nella propria essenza. Per cui ecco che la parte umana del Dottore riesce a parlare per lui e ad esprimere a parole il suo amore per Rose; Rose capisce il gesto del Dottore, capisce che le ha donato la sua parte umana, la sola che potrà amarla per la vita, senza correre rischi di morti, separazioni eccetera. Le ha dato il proprio lieto fine, ciò che lui stesso avrebbe voluto essere ma che purtroppo non sarà mai, a causa di un ordine superiore, a causa della propria natura. Rose è stata fortunata perché è stata la sola che è riuscita ad avere l'amore del Dottore e la sua parte migliore per sé. Pensiamoci.
Martha non è stata ricambiata.
Sarah Jane è stata scaricata.
Donna ha perso ogni ricordo.
Importante notare come il Dottore, dopo Rose, non si sia innamorato mai più (no, nemmeno di River che tanto declama ai quattro venti di essere la donna perfetta). Tuttavia sorge una lecita domanda: ma se metacrisi non ci fosse stato, Rose sarebbe tornata col Dottore? Beh, sì, sarebbe potuto accadere, ma l'avrebbe persa di nuovo. Magari sarebbe morta o che so io. Lui invece l'ha voluta rendere felice, l'ha salvata, le ha dato letteralmente tutto se stesso. 
Le ha dato il proprio sogno: una vita normale.

Eleonora Giovannini ©






domenica 16 febbraio 2014

Rossana, simbolo dell'emancipazione femminile.

Quanti di noi si sono emozionati quando, tornati da scuola, ci catapultavamo davanti alla tv per goderci il nostro anime preferito, "Rossana"?
Se davanti a me ci fosse una folla numerosa, scommetto che tutti avrebbero alzato la mano. Ma per chi non avesse idea di cosa sto parlando, farò un breve riassunto della trama.
La storia narra le avventure di una ragazza di dodici anni che arriva in una scuola dove i ragazzi esercitano il loro "potere" non solo sulle loro compagne di classe, ma anche sui professori, i quali non sanno più che pesci prendere e sono disperati. Rossana decide quindi di risolvere la situazione, alzando la voce quando è necessario, riuscendo piano piano a ristabilire l'ordine all'interno della scuola e a far capire ai ragazzi i loro sbagli. Nel corso della storia, Rossana e il capo dei bulli, Heric, proveranno dei forti sentimenti l'uno per l'altra ed è così che lui riuscirà a cambiare.
Adesso torniamo a noi, il titolo del post parla chiaro e la dice lunga sullo spessore di questo cartone animato giapponese; se prendiamo come esempio anche solo la sigla italiana, ci possiamo fare un'idea di quanto appena detto. Questa infatti recita così.

"Qui nella nostra classe abbiamo un gruppo di ragazzi,
Che tratta gli insegnanti come fossero pupazzi,
- Ragazze state zitte altrimenti la pagate,
Perché a noi piace far così perciò non vi impicciate -. 
- No, noi non stiamo zitte e prendiamo la parola,
Per dire a tutti che non vi vogliamo a scuola -."

Ciò rappresenta una vera e propria novità nel campo della televisione, seppur con qualche notevole censura, degli anni 2000 (l'anime infatti viene trasmesso su Italia Uno proprio durante quest'anno, nonostante risalisse al 1995). Rossana rappresenta l'affermarsi del ruolo della donna nella società moderna, lei stessa è una piccola ragazza prodigio, tant'è vero che è un'attrice in carriera, quindi deve far fronte anche a tutti i rischi del mondo dello spettacolo, soprattutto nella sua giovane età. Inoltre è stata adottata. Nonostante questo però, la ragazza dimostra una grande forza di volontà, è una lottatrice che si mette in gioco in tutto e per tutto pur di ottenere ciò che vuole e pur di aiutare il prossimo. Il bello di questo anime è che, sì, mostra un lato femminista, tuttavia non denigra il ruolo dell'uomo, anzi, lo valorizza dimostrando come entrambi i sessi se uniti, possono dar vita a grandi cose, ciò è evidente nelle avventure che il personaggio si troverà ad affrontare, avventure fortunatamente prive di qualsiasi moralismo inutile. Ad esempio sarà proprio lei a scoprire il motivo per cui Heric si comporta in maniera aggressiva: sua madre è morta di parto e il padre e la sorella lo ritengono responsabile. Rossana, aiutandolo, diventa quindi il suo punto fisso, forse vede in lei anche la madre che non ha mai avuto.
Personalmente ritengo che questo anime sia particolarmente educativo, perché fa capire che ognuno di noi, se lo vuole davvero, può cambiare le cose. Che ognuno di noi è una piccola Rossana e che Rossana in realtà è in ognuno di noi. Bisogna combattere perché la vita non sempre ci riserva solo rose senza spine, ma anche limoni, per cui dobbiamo per forza trovare il coraggio di spruzzare il succo negli occhi di qualcuno.

Eleonora Giovannini ©

 

sabato 8 febbraio 2014

Ieri e oggi.

Ieri: "Rossana", "Pollon", "One Piece", "Lady Oscar", "Detective Conan".
Oggi: "Dora l'esploratrice", "Winks", "Peppa Pig", "Violetta".
Anche solo dai titoli si capisce subito la differenza abissale che esiste tra i cartoni animati di ieri e quelli di oggi. Ma andiamo per gradi.

• Con l'avvento degli anni 2000, il cartone animato di qualità è andato in crisi, o meglio, la televisione e le sue reti hanno fatto in modo di sostituirlo con programmi insulsi e brutti. Infatti, se c'è una cosa che proprio non tollero, sono gli estremismi. Sembrerà una banalità ma ciò che caratterizza principalmente l'odierna tv per bambini, sono semplicemente due estremi: la morale assente o la morale patetica.
Entrambe sono alla base del fenomeno di rincoglionimento portato avanti dai mass media. Se la morale non è presente, spiegatemi qual è la funzione del cartone animato, che in teoria, dovrebbe in un certo senso educare. La risposta è ovvia, lo scopo principale è quello di estirpare il pensiero critico dalle menti dei più giovani, così da farli diventare, un giorno, una massa informe di persone senza carattere, una bella confezione di omogeneizzati, tutti uguali e insapori.
Al contrario, se la morale è patetica, portata quindi all'esasperazione, il bambino la vedrà come una regola da seguire, imposta, che non farà propria ma la sottovaluterà.
Niente a che vedere con i cartoni animati di un tempo, che attraverso dei modelli impliciti riuscivano perfettamente a farti comprendere gli insegnamenti più giusti. Eri tu che lo capivi, senza il bisogno che qualcuno te lo ripetesse costantemente per tutta la durata del programma.

• I cartoni animati di oggi non riportano la realtà della vita, le situazioni che vengono riprodotte sono incredibilmente fittizie e banali; a questo proposito mi viene in mente il telefilm argentino "Violetta" che sta spopolando sia in Italia che all'estero. Ecco, io mi domando, perché?! Perché la televisione si permette di trasmettere ad un pubblico di bambine di cinque anni, una telenovela che ha lo scopo di porle in un'ottica sbagliata in corrispondenza alla loro età.
Per chi non lo sapesse, in breve, il telefilm è la solita solfa: la ragazza che ha un grande sogno (fare la cantante), si innamora di due ragazzi ma non sa quale scegliere, ci sono le amiche buone, le cattive che la ostacolano e dulcis in fundo, il lieto fine. A prescindere dalla trama orrenda, torno alla domanda di partenza, perché la televisione vuole che una bambina di cinque anni, guardando la telenovela, si preoccupi di questioni ancora lontane da lei? Perché vogliono farle crescere a tutti i costi, dando dei modelli del tipo "o è bianco o è nero" quando in realtà non è così? A cinque anni bisogna occuparsi delle cose di cinque anni, come andare in bicicletta, giocare a nascondino, rotolarsi sull'erba, aver paura del buio, abbracciare un orsacchiotto. Non mettersi il rossetto, trovarsi il fidanzato e desiderare la fama.

• Se i mass media hanno avuto la responsabilità della svalutazione del cartone animato, di conseguenza anche i bambini non sentono più la voglia di far volare la fantasia o di emozionarsi o di imparare davanti alla tv.
Mi ricordo che la mattina prima di andare a scuola c'erano "L'Albero Azzurro", "Pingu" che anche se non si capiva, si capiva! E quando tornavo da scuola mi aspettavano "Bim Bum Bam", "La Melevisione", "Art Attak!". Adesso non c'è più niente se non Barbara D'Urso, Mara Venier che parla di Sanremo anche ad Agosto e dei terribili telefilm polizieschi.

• Anche la qualità grafica del cartone animato conta. Chi pensa il contrario sbaglia. Ma vuoi mettere le "Winks" che sono così irreali, bombardate di colore con i paesaggi da fotografia, creati dallo Studio Ghibli, di "Heidi"? Per dire, a me quando guardavo "Heidi" veniva voglia di mangiare latte, pane e formaggio per tutta la vita.

• E poi basta, basta con questa storia che i cartoni animati sono solo da "bambini" nel senso di stupidi (come se poi i bambini fossero stupidi), quindi tanto vale non perderci troppo tempo e trasmettere merda. Ma d'altro canto questo è ciò che la società vuole, vuole preparare i bambini di oggi per farli diventare gli adulti da manipolare di domani. Ma nessuno fa niente perché i cartoni animati sono per le persone infantili.

George Orwell aveva ragione.


Eleonora Giovannini ©


giovedì 30 gennaio 2014

Frozen è così bello come dicono?

Sono sempre stata un'appassionata di cartoni animati, e anche adesso che ho quasi vent'anni, non me ne faccio mancare mai. Nonostante io abbia un debole per i film d'animazione targati Pixar e Studio Ghibli, non disdegno nemmeno alcune eccezioni del mondo Disney.
Diciamolo, negli ultimi tempi quest'ultima citata aveva subito un forte calo di consensi non solo da parte dei critici professionisti, ma soprattutto dai bambini, che a parer mio rappresentano la fascia di pubblico dal riscontro più attendibile. Dopo l'uscita de "La Principessa e il Ranocchio" nel 2009 avevo perso totalmente fiducia in questa casa di produzione, dal momento che aveva messo in scena un cartone animato totalmente privo di spessore, pieno di retorica inutile e canzoncine insopportabili. Tuttavia, l'anno successivo mi dovetti ricredere all'istante con "Rapunzel - L'intreccio della torre"; me ne innamorai all'istante: trama originale, sdoganamento del ruolo del principe (qui inesistente in quanto il protagonista maschile è un ladro) e della principessa, numerosi personaggi secondari con carattere e divertenti, poche canzoni ma buone, bellissime scene di forte suggestione (vedi lancio delle lanterne nel cielo) e andrei avanti all'infinito. E' stato uno dei pochi film Disney che mi sono veramente piaciuti, oserei quasi dire il mio preferito, soprattutto tenendo conto del fatto che appartiene all'epoca moderna dell'era Disney e, come già detto in precedenza, un'era che non mi ha mai soddisfatto a pieno. Mi ha fatto ridere tantissimo, mi ha commosso e mi ha fatto tornare ai meravigliosi anni dell'infanzia.
Fino ad arrivare allo scorso Natale 2013, quando nelle sale è uscito "Frozen - Il regno di ghiaccio". Ammetto che per quanto riguarda questo cartone animato, avevo una forte aspettativa perché gli autori erano gli stessi di "Rapunzel"; a malincuore mi son dovuta ricredere, e anche tanto. Prima di tutto perché i doppiatori, a parer mio, erano inascoltabili (Serena Autieri, Enrico Brignano, Valeria Rossi!), secondo perché l'ho percepita molto come una brutta copia di "Rapunzel". La principessa protagonista non è la classica principessa con la puzza sotto il naso; il principe viene dipinto come uno stronzo e lei si innamora di un boscaiolo; la renna del boscaiolo ricorda molto il cavallo del re in "Rapunzel", Maximus; il pupazzo di neve è la versione distorta del camaleonte Pascal... insomma, già i personaggi non mi convincevano. Inoltre devo aggiungere che nemmeno la trama in sé mi ha stupito così tanto, l'ho trovata banale, con una retorica troppo forte e c'è stato un ritorno alle origini per quanto riguarda l'uso improprio delle canzoni. In più non l'ho trovato divertente, le poche battute presenti erano alla pari con quelle dei comici di Colorado.
Tirando le somme, vorrei tornare al titolo di questo post: Frozen è così bello come dicono? Interessante domanda. Basta andare sui social network per constatare che il film è stato un successo, i cosplayer sono pronti per immedesimarsi nei personaggi, sulle bacheche di Facebook impazzano colonne sonore, scene del film, citazioni e screen. Ok che il gusto è soggettivo, tuttavia mi sorge un dubbio, ovvero, non è che le persone accettano e di conseguenza apprezzano un determinato prodotto cinematografico solo perché è targato Disney? Possibile che anche la Disney sia diventata una moda?
Chissà, una cosa è certa, il pensiero critico è in via di estinzione.

Eleonora Giovannini ©

martedì 21 gennaio 2014

I Robinson.

Ho sempre sentito parlare de "I Robinson", telefilm nato nel 1984 dalla mente geniale di Bill Cosby, ma non avevo mai visto una puntata fino alla scorsa settimana. Stanca dopo una giornata intensa di scuola, mi sono gettata sul letto matrimoniale dei miei in compagnia di mia mamma e, su K2, ci siamo imbattute per caso in una carrellata di episodi di questa serie tv. E' stato amore a prima vista.
Le vicende rocambolesche sono tutte ambientate all'interno di una famiglia di colore, nella New York degli anni '80; quello che più colpisce è senza dubbio l'emancipazione dei neri in un'America, che fino a qualche tempo prima, aveva fatto di tutto per denigrarli. Invece qua i protagonisti sono integrati perfettamente nella società: il padre è un importante ginecologo, la madre è avvocato e i figli studiano normalmente. Insomma, non c'è nessun vittimismo o critica nascosta alla realtà sociale dei neri, anzi, la vita di ogni personaggio è assolutamente normale, caratterizzata da più o meno difficoltà, dalle prime crisi adolescenziali e dal rapporto genitori-figli.
La figura senza dubbio più di spicco, è il Dr. Heathcliff, il "capo famiglia", che fa ampio uso di battute, ironia e cinismo nei confronti di chiunque lo circordi, ma allo stesso tempo è un uomo che tiene alla famiglia più di qualunque cosa al mondo, sempre pronto a sacrificarsi e a difendere chi più ama. Questo aspetto è incredibilmente moderno se pensiamo quando la sitcom è stata girata, essa rappresenta una vera e propria "rivoluzione" in campo mediatico non solo per i contenuti ma anche per il fatto di aver creato un telefilm tutto incentrato su una famiglia di afroamericani.
Consiglio a tutti di vederlo, perché credetemi, non rimarrete delusi. Per queste cose io sono molto critica, quindi potete fidarvi. Vi farete un sacco di risate ma allo stesso tempo riceverete dei grandi insegnamenti sul senso della vita che purtroppo ad oggi sono stati accantonati perché considerati inutili o banali, quando invece, a parer mio, sono fondamentali per la crescita interiore di ogni persona.

Eleonora Giovannini ©

Hunger Games&Altre parodie.

Salto ogni premessa per arrivare dritta al punto: le parodie dei film non mi piacciono. O meglio, le parodie come vengono realizzate oggi, non mi piacciono. Non mi piacciono perché, chi fa questo tipo di film non sa assolutamente nulla di come si sviluppa una parodia; è di comune opinione che si debbano prendere stereotipi della pellicola in questione, aggiungerci un pizzico di volgarità, qualche tocco di riferimenti sessuali e il gioco è fatto. Assolutamente no. Mettere insieme un'accozzaglia di stupidaggini non è la soluzione giusta per la riuscita di un prodotto di qualità, prima di tutto perché le parodie non servono a sminuire il film ma solo a fare dell'ironia, secondo perché non divertirebbero neanche un bambino di due anni che, anzi, si esaltarebbe più volentieri a guardare Peppa Pig.
Inoltre molti pensano che per questo genere di film non serva conoscere l'originale. Niente di più sbagliato! E' fondamentale conoscere in tutte le singole parti la storia che ci si appresta a parodare, il segreto sta soprattutto in questo perché solo chi ne conosce le mille sfaccettature sarà in grado di fare dell'ironia geniale, sagace, inaspettata e originale, lasciando stupiti e con una risata a bocca piena gli spettatori.
Da sempre le grandi case di produzione cinematografica si sono concesse il "lusso" (dico lusso perché penso che sia davvero uno spreco di soldi finanziare un prodotto più commerciale dei Cine Panettoni) di creare svariate parodie; come dimenticare la serie di "Scary Movie", diretta a colpire i film horror più spaventosi della storia, per poi passare a "Mordimi", "Horror Movie", "Biancaneve Sotto I Nani", "Box Office 3D" e potrei continuare! Ho citato solo i più recenti perché sono davvero pessimi (nonostante io non apprezzi nemmeno gli originali, è il caso di "Mordimi", parodia della saga di "Twilight"). Tuttavia ritengo che l'apice di trash si sia toccato quest'anno con l'uscita al cinema di "Hunger Games: La Ragazza Con L'uccello Di Fuoco". Già solo per il titolo mi verrebbe voglia di prendere a schiaffi qualcuno, ma se poi sei così sfortunato da guardare anche il trailer, beh, allora ti viene proprio voglia di gettarti da un palazzo di trenta piani; infatti per quanto un film faccia pietà, almeno attraverso il trailer dovresti fare in modo di mascherarlo, di renderlo quanto meno stimolante all'occhio del pubblico, così da incuriosirlo per poi dargli l'inculata (scusate il francesismo) una volta messo piede in sala. E invece no! Son riusciti pure a fare un trailer brutto, ma veramente brutto, forse il più brutto nella storia dei film commerciali.
Ho voluto scrivere questo post perché mi son sempre chiesta chi fosse il celebroleso che spreca i propri in soldi (e la vista) in simili film. Capisco un Cine Panettone, per assurdo, perché quello è il genere che piace alle persone ignoranti, vuote, dalla risata finta. E ne è pieno il mondo! Non riesco nemmeno a pensare che vengano realizzati per guadagnare in modo facile perché non penso che certe pellicole sbanchino il botteghino, anche se dovrei documentarmi a riguardo.
Chissà, magari al mondo esistono persone talmente tristi che preferiscono guardare il primo film che passa il cinema per non trascorrere la serata in compagnia del gatto; tuttavia, per quanto mi riguarda, sono sicura che mi divertirei di più.

Eleonora Giovannini ©

Lord Voldemort VS Dart Fener - Cattivi a confronto.

In qualsiasi storia che si rispetti, ritengo che il ruolo dell'antagonista sia sempre più interessante rispetto al ruolo del "buono", questo perché, chi sceglie la via della bontà, ha in dono una grande forza di volontà e dei sani principi. Diciamoci la verità, alla fine è più facile essere cattivi che buoni. E' da qui che è partito il mio spunto di riflessione di stasera, decidendo così di analizzare due cattivi per eccellenza appartenenti a due saghe di straordinaria grandezza: Lord Voldermort di Harry Potter e Dart Fener di Star Wars.
La prima cosa da tenere bene in mente, è che i cattivi non agiscono senza che ci sia qualcosa che li spinga a fare del male; in breve, ognuno di loro ha alle spalle dolore e sofferenza, non uccidono solo per il gusto di farlo. Esempio lampante è appunto Lord Voldemort. Mi ha sempre affascinato la storia di questo personaggio; Tom Riddle, alias Voldemort, è infatti nato dall'unione di una strega e un babbano (uomo senza poteri magici), fin qui potrebbe essere tutto normale se non che, la madre di Tom aveva utilizzato un filtro d'amore per farsi notare agli occhi del giovane Riddle, non c'è stato nessun sentimento reciproco ma solo unilaterale. E' per questo che Voldemort, nato sotto il filtro d'amore, non sarà mai in grado di amare. Le pozioni non sono capaci di creare l'amore vero, ma solo una potente infatuazione. Ed è anche per questo che, con il tempo, Voldemort proverà disprezzo per i nati babbani e per i babbani stessi, perché suo padre oltre al fatto di non essere mai venuto a sapere della sua esistenza, non ha mai amato sua madre, lasciandola morire nel proprio dolore. Non c'è da stupirsi, quindi, se egli volesse poi distruggere tutti i babbani, pur essendo lui stesso un mezzosangue. Fin da bambino lui disprezzava l'essere umano in genere, rinchiuso in un orfanotrofio e privo di qualsiasi rapporto umano, egli non esita a confessare i suoi primi furti e le sue cattiverie nei confronti degli altri orfani presenti nell'istituto. Egli non rinnegherà mai la sua natura e il suo ruolo di malvagio nel corso della saga.
Passiamo ora a Dart Fener, il cattivo che rimarrà sempre impresso nella storia del cinema mondiale ma anche nelle nostre vite. Egli, a differenza di Voldemort, non è nato cattivo, anzi, ha ricevuto tutto l'amore possibile dalla madre, dalla regina Padmé con cui poi si legherà sentimentalmente e dai maestri Jedi che lo prenderanno in custodia (in particolare il maestro Kenobi, suo diretto discepolo). Perché allora il giovane Anakin Skywalker decide di distruggere la sua anima buona? Possiamo riscontrare le radici della sua scelta anche nell'infanzia, in quanto lui e sua madre erano schiavi, sua madre fu poi brutalmente uccisa senza che lui fosse riuscito a salvarla. Inoltre, crescendo, non si sente compreso da nessuno, nemmeno da chi più ama. Lui si sente forte, invincibile e pronto a vendicare sua madre e, paradossalmente, a salvare dalla morte la moglie Padmé per cui lui stesso darebbe la vita. Secondo il suo distorto punto di vista, egli ritiene che passare al lato oscuro e conoscerne la propria forza, sia l'unico modo per non perderla. Sembrerebbe uno strambo gesto d'amore, ma purtroppo è proprio l'amore che rinnega, lui stesso dirà a Padmé: "L'amore non ti salverà!". A differenza di Voldemort, Dart Fener non ha un animo malvagio, bensì ha compiuto una scelta fatale. Questo è evidente non solo prima che diventi cattivo (vivendo in eterno conflitto con se stesso dal momento che in lui albergano odio e rabbia, sentimenti non conformi a un Jedi) ma anche subito dopo la sua trasformazione, infatti appena salvato da ormai morte certa, il suo primo pensiero va alla sua amata e il dolore lo sopraffà quando viene a sapere che lui stesso l'ha uccisa, con la sua ira. E' qui che Anakin soffoca definitivamente la sua anima di uomo buono: la sua unica ragione di vita è morta, non ha più senso anche solo il pensiero di cambiare idea. Tutti i suoi "buoni propositi" vengono meno fin quando non si troverà a lottare faccia a faccia con suo figlio Luke, frutto dell'amore suo e di Padmé. Sarà qui che egli si trasformerà per l'ennesima volta, mostrando a uno spettatore incredulo, che l'amore è la forza più potente che esista. Salvando Luke, salva anche se stesso, confermando il pensiero di Padmé secondo la quale in lui c'è sempre stato del buono.
Prima di chiudere questa mia riflessione utile quanto un soldo bucato, vorrei soffermarmi anche sul ruolo che hanno svolto le due guide dei cattivi in questione: Silente per il primo, Obi-Wan Kenobi per il secondo. Entrambi buoni, entrambi guide spirituali, entrambi fallimentari nel compito di portare alla salvezza i propri adepti. Tutti e due avrebbero avuto la possibilità di scampare al male, ma nessuno di loro c'è riuscito. Perché? Beh, la risposta più ovvia è che, naturalmente, in qualsiasi storia che si rispetti il cattivo ci deve essere, altrimenti ci faremmo delle belle dormite sul divano o getteremo un libro tra i rifiuti; la seconda risposta è che non lo so. Non so perché le persone buone non riescano quasi mai a salvare le persone dal male. Forse perché Tom e Anakin le vedevano come un ostacolo alla realizzazione di se stessi. Se non altro in tutto questo c'è una metafora, forse tra le più scontate e banali, ma non meno significativa per la nostra esistenza, ovvero: all you need is love, tutto ciò di cui hai bisogno è l'amore.


Eleonora Giovannini ©